L’assistenza al malato con SLA tra cronicità ed emergenza Covid

Apr 22, 2020 | notizie

Dottoressa Maura Marogna

Negli ultimi anni il sistema sanitario dei paesi occidentali si è organizzato intorno alla cura centrata sul paziente cronico, fragile, anziano, con polipatologie e disabilità complesse.
Le malattie neurodegenerative come la demenza, gli accidenti cerebrovascolari, la Sclerosi Multipla, il M. di Parkinson, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, il cui decorso progressivo con eventi acuti non sempre prevedibili rappresentano il paradigma di questa complessità assistenziale che richiede alla comunità sforzi economici elevati e duraturi a fronte di risorse sempre più scarse.

Per l’assistenza di questi malati sono state identificate diverse strategie \organizzative, quali percorsi di cura personalizzati gestione. globale del paziente e della famiglia, setting di cura in base ai bisogni e alle priorità, lavoro di rete tra i servizi e le strutture coinvolte, deospedalizzazione di molte procedure tecniche, equipe domiciliari multidisciplinari dedicate, flessibilità delle prestazioni sanitarie, monitoraggio clinico continuativo, accessi ospedalieri programmati e preferenziali.

L’applicazione della tecnologia alla medicina ha allungato la loro vita e migliorato la qualità, fornendo sonde enterali per la nutrizione, ventilatori meccanici non invasivi e invasivi per la respirazione, macchine per la tosse assistita, comunicatori ad alta tecnologia per mantenere le relazioni con l’ambiente e garantire la possibilità di esprimere le proprie volontà durante il percorso di cura.

La Riabilitazione, a sua volta, di fronte a pazienti con malattie neurodegenerative ha assunto un ruolo sempre più rilevante, rispetto al calo nel tempo dei benefici della terapia farmacologica, in quanto previene le complicanze dell’immobilità e aiuta a sfruttare al meglio ‘le capacità funzionali residue; anche grazie all’uso di ausili sempre più prestazionali e sofisticati. Così si limita l’impatto della disabilità nella vita quotidiana e si riduce la dipendenza dagli altri.

Per quei malati con patologie neurologiche in fase di rapida progressione, infine, diventa eticamente doveroso e clinicamente appropriato evitare terapie sproporzionate per eccesso, avviando un tempestivo approccio palliativo con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita residua del malato e della sua famiglia. In un’ottica di scarsità dì mezzi, le Cure Palliative possono portare a vantaggi certi nell’ottimizzazione delle risorse limitando gli interventi diagnostici e terapeutici non proporzionati e rimodulando gli obiettivi di salute condividendoli con il malato e/o i familiari. Pertanto, nell’approccio palliativo grande rilevanza è attribuita all’informazione, comunicazione e relazione con il malato al fine di permettergli una scelta informata e condivisa delle alternative terapeutiche, dei diversi setting di cura e la formulazione di decisioni di fine nel contesto di un Advance care planning maturato in un rapporto con l’équipe fondato sull’ascolto attivo dei bisogni razionali e sulla gestione di quelli emotivi.

Nel mondo attuale la sfida intrapresa dal sistema sanitario nei confronti delle malattie neurodegenerative si è interrotta precocemente di fronte alla diffusione della pandemia da coronavirus, mettendo in pausa malattie temibili come la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).

Per i malati con SLA la posta in gioco è diventata alta e il conto molto salato. Temono l’abbandono da parte degli operatori impegnati a salvare più vite possibili nei pronto soccorso, nelle terapie intensive, nei reparti di pneumologia, dove i letti sono occupati da pazienti affetti da gravi complicanze respiratorie da coronavirus.

La riorganizzazione dei servizi e delle strutture sanitarie ha portato sul territorio alla rapida riduzione degli accessi domiciliari da parte delle equipe dedicate e agli ambulatori specialistici, limitati alle sole situazioni di emergenza. Pur confermandosi misure corrette per evitare i contagi, le ricadute drammatiche sulla qualità dell’assistenza a lungo termine sono evidenti. Venendo a mancare i follow-up clinici, che garantiscono la continuità assistenziale nel percorso di cura, questi pazienti, compromessi sul piano della funzionalità respiratoria, portatori di Ventilazione Meccanica non Invasiva e Invasiva, sono a maggior rischio di cure non appropriate in termini di tempestività e prevenzione delle situazioni a rischio.

La chiusura degli ospedali specializzati nell’assistenza dei malati neuromuscolari, punto di riferimento per la diagnosi e la cura dei malati con SLA, ha interrotto quei programmi di riabilitazione ad alta specializzazione, che riescono in molti casi a contenere l’evoluzione peggiorativa delle disabilità complesse e multifattoriali di cui sono affetti.

In questo paradosso tra l’emergenza coronavirus e la cronicità delle malattie neuromuscolari, i malati con SLA sono pazienti altamente critici. Durante il decorso clinico progressivo, di durata variabile da 6 mesi ad alcuni anni (media 1-3 anni}, gli operatori si trovano spesso a fronteggiare situazioni in emergenza ed urgenza, che richiedono l’attivazione di un soccorso efficace e in alcuni casi l’ospedalizzazione.

Molti di loro sono pazienti portatori di Ventilazione Meccanica Non invasiva e Invasiva, che spesso manifestano una sintomatologia respiratoria acuta (iperpiressia, desaturazione, ingombro secrezioni, infezioni, polmoniti ab ingestis), non sempre gestibile a domicilio con terapia farmacologica e presidi, ma possono richiede interventi specifici da parte di pneumologi e anestesisti.

Altri, portatori di gastrostomia (PEG/PRG) per la nutrizione enterale, Possono presentare acutamente una sintomatologia gastrointestinale (stipsi, diarrea, vomito, gonfiore addominale, dolore..), per la quale possono essere indispensabili indagini strumentali radiologiche per un corretto intervento. Altri ancora sono pazienti tracheostomizzati con ventilazione invasiva.

In altri casi lo scarso controllo di sintomi, quali il dolore, la dispnea, il vomito, il delirium, la perdita di coscienza, la febbre , li effetti collaterali dei farmaci, cosi come il malfunzionamento dei device (tracheostomia, gastrostomia percutanea, sondinonasogastrico, catetere vescicale ) se non gestiti efficacemente a domicilio, richiedono il trasporto al DEA più vicino.

In tutti i casi il trasporto e I’ospedalizzazione di questi pazienti molto fragili aumentano il rischio di contagio, esponendoli a numerose infezioni respiratorie, in primis il coronavirus, peggiorando le loro condizioni respiratorie già compromesse e dalle quali difficilmente potrebbero recuperare.

Le conseguenze di ciò sono talmente ovvie agli operatori che, per non rischiare il contagio, si sforzano di gestire tutte le situazioni critiche a domicilio, di differire gli interventi e le procedure, esponendo loro e i pazienti a forti rischi, come può accadere per la sostituzione a domicilio in urgenza delle cannule endotracheali di un paziente tracheotomizzato, se effettuata da personale non esperto e in un setting non adatto.

Costretti a limitare i contatti fisici con i pazienti e le famiglie, gli operatori vivono la gestione dei bisogni quotidiani dei malati con SLA con il timore e l’ansia di prendersi meno cura di loro in termini di appropriatezza, sicurezza e qualità della cura.

Questione etica più drammatica riguarda invece la gestione di quei pazienti, che hanno espresso la volontà di essere sottoposti a tracheotomia programmata o in urgenza, ma anche quelli che non si sono espressi riguardo le decisioni sui supporti vitali. Per questi ultimi, infatti, vige, se la persona non ha espresso chiaramente le sue decisioni, di inviarla nei servizi di pronto soccorso. In epoca covid, però, il messaggio dei sanitari, per proteggere i malati con sia, è quello di evitare gli accessi in ospedale.

Quali sono le scelte giuste?

Molti malati con SLA, nelle DAT prima e nelle PCC dopo, hanno avuto la possibilità di esprimere le loro volontà sul proprio fine vita, su come e dove morire, se accettare o rinunciare ai supporti vitali, come la ventilazione meccanica mediante tracheostomia, o la nutrizione artificiale. Nella presa in carico del malato e della famiglia, il team di Cure Palliative discute e condivide le scelte con lo scopo di compito di rispettarle e di renderle operative attraverso la relazione terapeutica tra medico e paziente.

Tuttavia, all’interno di questa alleanza nascono molti timori e dubbi da parte degli operatori perché in una situazione di emergenza, dove la cura è centrata sulla comunità, si fa fatica a rispettare le scelte del singolo malato sul fine vita, in particolare la volontà di essere sottoposto a tracheotomia quando questa procedura richiede il ricovero ospedaliero con conseguenze prevedibili.

Da una parte, il rischio elevato di contagio potrebbe complicare il quadro clinico respiratorio già grave del paziente e rendere vana la tracheotomia; d’altra parte il paziente potrebbe non trovare un letto disponibile nei reparti di Pneumologia, di Rianimazione e di Terapia Intensiva, o di Neurologia per l’esecuzione della procedura e per il periodo di addestramento e educazione dei familiari. In caso di decisione presa in acuzie, inoltre, il rischio è anche quello di non trovare medici disponibili alla esecuzione perché impegnati sul fronte covid.

In tutti i casi, di fronte a una insufficienza respiratoria irreversibile in un paziente diventato terminale, l’unica alternativa terapeutica sarà la sedazione palliativa, non esente da possibili criticità, quali mancanza di palliativisti all’interno degli ospedali, mancanza di tempo dedicato all’informazione, alla comunicazione e alla relazione con il paziente e con i famigliari, b a loro volta, assenti per ragioni di contagio.

Le situazioni fin qui descritte costringono nelle situazioni di emergenza a ripensare alle buone pratiche assistenziali nei confronti di quei malati cronici che hanno esercitato con le DAT e le PCC il diritto di autodeterminazione.

All’interno della relazione medico-paziente fondata sulla fiducia, il rispetto reciproco e la responsabilità! Il compito del medico è quello di rispettare la volontà del paziente e condividere con lui un percorso di cura fondato sui principi di equità e giustizia.

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